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Anticorpi monoclonali contro infarto e ictus

Farmaci Redazione DottNet | 27/12/2018 16:54

Lo rivelano due studi pubblicati su 'Jacc', il 'Journal of the American College of Cardiolog', da ricercatori del Centro cardiologico Monzino di Milano

Gli anticorpi monoclonali mirati contro la proteina Pcsk9, che già hanno permesso di combattere l' ipercolesterolemia anche nelle sue forme più 'difficili', potrebbero rappresentare una nuova promessa contro l' infarto, l' ictus e la stenosi calcifica della valvola aortica. Una condizione, quest' ultima, per la quale gli ultimi sforzi messi in campo dalla scienza non hanno raggiunto gli obiettivi sperati. La buona notizia arriva da due studi pubblicati su 'Jacc', il 'Journal of the American College of Cardiolog', da ricercatori del Centro cardiologico Monzino di Milano. I lavori sono stati condotti da Marina Camera, responsabile dell' Unità di ricerca di biologia cellulare e molecolare cardiovascolare dell' Irccs meneghino e professore di farmacologia all' università degli Studi del capoluogo lombardo, e Paolo Poggio, a capo dell' Unità per lo studio delle patologie aortiche, valvolari e coronariche del Monzino.

La proteina Pcsk9 da qualche tempo sta entusiasmando gli scienziati, spiegano gli esperti, dopo la scoperta pochi anni fa del suo ruolo chiave nell' eccesso di colesterolo. Se infatti con gli inibitori di Pcsk9, anticorpi monoclonali in grado di disattivare questa proteina, è stato possibile contrastare con successo l' ipercolesterolemia fino a raggiungere una riduzione del 60-70% del colesterolo 'cattivo' Ldl, in particolare nelle forme più severe e resistenti al trattamento con i farmaci tradizionali, nei pazienti trattati si è osservata anche una riduzione del rischio del 15% di eventi come infarto e ictus. D' altra parte, nelle persone che geneticamente hanno livelli ridotti di Pcsk9, si è riscontrata una protezione dall' incidenza di eventi cardiovascolari. "Questi dati - riferisce Camera - ci hanno spinto a ipotizzare che i benefici in termini di eventi cardiovascolari prevenuti bloccando Pcsk9 potessero dipendere non soltanto dalla riduzione di colesterolo ottenuta. Abbiamo pensato che potesse esserci di più, che l' azione di questa proteina potesse estendersi oltre il metabolismo dei lipidi, e così abbiamo iniziato a cercare".

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Del resto, ricordano ancora dall' Irccs del cuore, si era già notato che un elevato livello di Pcsk9 nel sangue fosse un predittore di eventi cardiovascolari nei pazienti con malattia coronarica e con fibrillazione atriale. E uno studio genomico aveva rilevato una correlazione tra alti livelli di questa proteina e la presenza di stenosi calcifica della valvola aortica. "Abbiamo così avviato nei nostri laboratori studi in vitro ed ex vivo con esiti sorprendenti - dice Camera - E' emerso infatti che Pcsk9 ha un ruolo cruciale nell' attivazione delle piastrine umane, nella loro capacità di aggregarsi formando i trombi che a loro volta provocano infarti e ictus. Questo potrebbe essere pertanto uno dei meccanismi responsabili della maggior incidenza di eventi cardiovascolari riscontrati nei pazienti affetti da patologia coronarica e fibrillazione atriale".

Non solo. "I nostri dati - riporta Poggio - hanno evidenziato l' esistenza di un effetto diretto di Pcsk9 sullo sviluppo e la progressione della stenosi calcifica della valvola aortica, ed è un' osservazione che ci entusiasma profondamente incoraggiandoci a proseguire su questa linea di ricerca. Vogliamo ricordare - puntualizza lo scienziato - che negli ultimi decenni tutti gli sforzi fatti per mettere a punto una terapia medica in grado di prevenire o fermare la progressione della malattia non hanno portato i risultati sperati. Per i malati di stenosi valvolare aortica attualmente le prospettive terapeutiche sono l' intervento chirurgico o percutaneo. Per questa ragione guardiamo con speranza alla prospettiva che l' inibizione di Pcsk9 possa rappresentare una nuova possibilità terapeutica: significherebbe segnare una svolta nel trattamento di questa malattia degenerativa che è piuttosto comune nella popolazione anziana. Nei Paesi sviluppati la stima raggiunge il 7% negli over 65 ed è un numero in crescita considerando l' invecchiamento della popolazione".

"I risultati ottenuti sono solo un punto di partenza - commenta Camera - Dovremo infatti avviare nuovi studi clinici, e abbiamo la necessità e il desiderio di comprendere quali siano i meccanismi molecolari che stanno alla base dei fenomeni osservati. Per il momento - conclude la ricercatrice - ciò che ci sembra davvero evidente è che questa proteina gioca un ruolo nella nostra salute cardiovascolare che si estende ben oltre il controllo del colesterolo agendo su molteplici fronti, e apre davanti a noi scenari di prevenzione e cura davvero promettenti".

fonte: journal of the American College of Cardiolog'

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